D10S è morto

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D10S è morto

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D10S è morto
Il mondo piange ormai da 24 ore ininterrottamente Diego Armando Maradona, l’uomo, il giocatore, l’eroe, la leggenda. Diego è stata una figura capace di riunire in sé il sacro e il profano, l’amore trascendentale per una divinità e la fragilità terrena tipicamente umana, la venerazione fino a livelli parossistici tanto da dedicargli un vero e proprio culto e la debolezza di una persona controversa, influenzabile da amicizie quantomeno discutibili.
Egli ha rappresentato un’entità eterea e allo stesso tempo immanente, incarnando la genialità del talento estroso che gli ha valso il soprannome di “Pibe de Oro” (Ragazzo d’oro), ed entrando a far parte di diritto nell’immaginario di qualsiasi bambino che inizia a scoprire il mondo del calcio, senza distinzione di razza, credo calcistico e classe sociale, calciando un pallone di cuoio, una lattina, qualsiasi oggetto si trovi davanti, nell’erba, nel terreno, nel fango.
Maradona è uno di quei miti che si costruiscono nel tempo, fin da quelle interviste da bambino, quelle in cui, nel degrado delle baraccopoli di Villa Fiorito, periferia di Buenos Aires dove è cresciuto, affermava con decisione di avere due sogni: giocare il Mondiale e vincerlo. Si sa poi com’è andata a finire.
Diego è la determinazione di chi vuole qualcosa con tutte le sue forze e se la va a prendere sgomitando tra le difficoltà della vita, la povertà, gli assalti e i processi mediatici.
È sempre stato visto come un antisistema, un outsider, l’uomo del popolo, costantemente dalla parte dei più deboli, dei poveri, dei romantici. Quello innamorato della rivoluzione di Fidel Castro (morto peraltro il 25 novembre anche lui) e del Che Guevara, quello della militanza nei partiti progressisti e delle denunce pubbliche della corruzione dei vertici della FIFA, quello che contrariamente alla volontà di tutto lo staff ha insistito per giocare una partita di beneficenza nella periferia napoletana, su un campo disastrato, perché un bambino malato aveva bisogno di lui.
Maradona appartiene a quel ristretto Olimpo di persone che non possono non riscuotere omaggio, cordoglio e riverenza in tutto il mondo. Perché è proprio questo che l’ha reso non solo il calciatore più grande di tutti i tempi, ma anche quello in grado di emozionare maggiormente dal punto di vista umano. Diego era la spensieratezza del bambino che si diverte rincorrendo un pallone, incoraggiava tutti i compagni, li caricava anche quando sbagliavano, li trascinava con la consapevolezza di essere il più grande di tutti, ma sempre grato di quello che la vita gli ha dato e per dove gli ha permesso di arrivare.
Un campione che si sposa perfettamente con l’anima di Napoli, la città che più di tutte lo ha venerato, accolto, amato come un figlio, un fratello, un padre, un amante. In qualsiasi angolo, in qualsiasi quartiere, in qualsiasi comune di provincia, i napoletani piangono, soffrono, si disperano come se fosse morto un parente, alcuni forse anche di più. Piange chi l’ha visto dal vivo e chi l’ha solo immaginato da lontano, ricostruendone le imprese con i numerosi video, i racconti degli anziani che possono dire “io c’ero”, gli articoli e i servizi giornalistici. E non è che una minima parte di quello che in realtà ha costituito per il popolo partenopeo, la rivalsa sociale, la speranza, la fiducia in un domani che non poteva che essere più roseo ora che Maradona portava la squadra della città in trionfo.
Lo piangono tutti i calciatori, che da lui hanno tratto ispirazione e con lui hanno provato a seguirne le orme, qualsiasi personaggio pubblico, persino il Papa e i capi di stato, detrattori, rivali, nemici, avversari. Ma lo piangono soprattutto i romantici del pallone, i tifosi, le persone comuni che si sono riconosciute in Diego, si sono sentite protette e hanno sognato. Si, è un sogno Diego Armando Maradona, un sogno di un bambino che sorride palleggiando nel fango, senza nient’altro che un pallone e la fantasia di immaginarsi Campione del Mondo. Quel sogno non finirà mai, continuerà per sempre anche ad occhi aperti, anche da grandi, quando quel bambino è cresciuto e non c’è più l’illusione, ma solo la consapevolezza che D10S è morto e non ce ne saranno mai più come lui.
Buon viaggio Diego, e grazie di tutto.

Napoli 26/11/2020
articolo a cura di Gianmarco Muriano
foto di Claudia Del Giudice


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